Il portale di notizie online di Hong Kong “Citizen News” ha reso noto nei giorni scorsi tramite un post sulla piattaforma Twitter di cessare le pubblicazioni a partire dal 4 gennaio 2022, per “assicurare che tutti siano al sicuro in questo momento di crisi”. Come riporta l’agenzia di stampa Reuters, la testata indipendente di Hong Kong ha anche descritto l’ambiente dei media locali come “in deterioramento”, citando il bisogno di garantire la sicurezza dello staff.
“La decisione è stata presa in poco tempo”, ha riferito Chris Yeung, capo scrittore di “Citizen News” ed ex presidente dell’Associazione dei giornalisti di Hong Kong (Hkja). “Citizen News”, che esiste dal 2017, è il terzo sito indipendente d’informazione a chiudere a Hong Kong. La portata di questa repressione dimostra ancora una volta l’intento di Pechino di sradicare la libera stampa ancora in vita nel territorio dell’ex colonia britannica. Con il “cuore pesante”, come si legge nel tweet della testata giornalistica, dopo cinque anni di servizio cessano le sue attività di libera informazione. L’annuncio giunge a seguito della retata avvenuta mercoledì scorso nella redazione di un altro portale di notizie, “Stand News”. Con l’accusa di aver pubblicato “contenuti sediziosi” e che avrebbero fomentato “odio contro il governo”, la polizia ha in quell’occasione arrestato sette dipendenti del giornale (poi uno rilasciato) “per cospirazione” e per annesse “pubblicazioni sediziose”. Tra gli arresti, il direttore Patrick Lam e la pop star Denise Ho, icona pro-democrazia rilasciata su cauzione.
“Stand News”, una testata online gratuita, è stata fondata nel dicembre 2014, mantenendosi negli anni vicina al movimento democratico di Hong Kong. A perquisire la redazione sono stati più di 200 agenti di polizia, costringendo ad annunciare la cessazione delle pubblicazioni in un post su Facebook. “Stand News” è stata la più importante testata indipendente rimasta attiva a Hong Kong dopo che un’indagine sulla sicurezza nazionale nel giugno 2021 ha portato alla chiusura del quotidiano “Apple Daily” (ne avevamo parlato qui).
Il caso Jimmy Lai
Jimmy Lai, il magnate dei media e il fondatore di “Apple Daily”, secondo Bloomberg quest’anno ha trascorso più di 300 giorni in prigione, rendendolo di fatto la vittima di più alto profilo della campagna incessante della Cina per la supremazia su Hong Kong. A giugno, oltre 500 poliziotti hanno fatto irruzione nel quartier generale del tabloid “Apple Daily” e hanno congelato i beni della società mediatica per un valore di 18 milioni di dollari di Hong Kong. Fondata 26 anni fa, la testata è stata costretta a cessare l’attività a causa del blocco dei conti bancari. La sua ultima pubblicazione risale al 24 giugno 2021, numerose furono le file degli abitanti in attesa di acquistare l’ultima edizione.

Come ha riferito “Channel News Asia“, con un’ultima tiratura di un milione di copie in una città di 7,5 milioni di abitanti, la chiusura del quotidiano ha rappresentato un colpo alla libertà di Hong Kong e ha accelerato il processo di accentramento intrapreso da Pechino ai danni della ex colonia britannica. Il proprietario dell’ormai estinto quotidiano, Jimmy Lai, già in carcere per aver partecipato nel 2019 ad “assemblee illegali”, a proteste per la democrazia e a rischio di ergastolo, è stato tra i primi ad essere accusato secondo una nuova legge sulla sicurezza entrata in vigore a Hong Kong nel 2020. Era stato quest’ultimo, con lo pseudonimo di Li Ping, a scrivere un articolo nel quale denunciava la decisione del Partito comunista cinese (Pcc) e dei suoi alleati a Hong Kong di “strangolare ‘Apple Daily’ per uccidere la libertà di stampa e la libertà di pensiero” nella regione amministrativa speciale.
Hong Kong vs. Pechino
Dopo un periodo di colonialismo britannico, Hong Kong è tornata al dominio cinese nel 1997, con la promessa che sarebbero stati protetti ampi diritti individuali, inclusa la libertà di stampa. Ma a differenza di quanto proclamato da Pechino, secondo i governi occidentali tali libertà sono state invece erose, in particolare da quando è stata imposta la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong.
“La legge sulla sicurezza nazionale costituisce una delle più grandi minacce ai diritti umani e allo stato di diritto a Hong Kong dal passaggio di consegne del 1997″, hanno scritto Lydia Wong e Thomas Kellogg, studiosi statunitensi della Georgetown Law School, in un rapporto di febbraio che analizzava la legge sulla sicurezza dell’ex colonia britannica. Varata il 30 giugno 2020, la draconiana legge tende a reprimere le attività di carattere sovversivo ad Hong Kong. La legge sulla sicurezza fa riferimento a quattro categorie di crimini, tra cui secessione, sovversione del potere statale, attività terroristiche e collusione con forze straniere o esterne che possano mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Con la legge, è stata anche istituita una Commissione per la salvaguardia della sicurezza nazionale che risponde direttamente al governo centrale di Pechino.

Libertà di stampa “a brandelli”
Come già aveva anticipato a luglio Ronson Chan, presidente del principale sindacato dei giornalisti della città, l’Associazione dei giornalisti di Hong Kong (Hkja), la libertà di stampa di Hong Kong è “a brandelli”, mentre la Cina sta rimodellando la propria immagine autoritaria.
“L’anno passato è sicuramente l’anno peggiore finora per la libertà di stampa”, ha detto il presidente. Il sindacato ha pubblicato un rapporto sugli eventi impattanti sulla stampa da quando Pechino ha imposto la legge sulla sicurezza nazionale un anno fa per reprimere le proteste democratiche dell’anno prima. Sottolineando l’arresto di Jimmy Lai e le conseguenze per la democrazia, gli autori hanno stimato che oltre 700 giornalisti, con l’accusa di sovvertire “la sicurezza nazionale”, abbiano perso il lavoro. Il rapporto dell’Associazione dei giornalisti ha anche accusato le autorità di aver trasformato le emittenti pubbliche di Hong Kong, come la nota “Rthk”, in un “apparato di propaganda del governo”, cancellando gli spettacoli di attualità e gli archivi pubblici.
Come rammenta Chan, Hong Kong è scesa dalla classifica annuale sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere (Rsf), dal 18esimo posto nel 2002 all’80esimo nel 2021. La Cina continentale si è classificata al 177esimo posto su 180, al di sopra solo di Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
